TOR 1 - Via Saint Denis 100 - Sesto San Giovanni (MI)

 

La TOR 1, iniziata nel 1959/60 e terminata nel 1963, con una capienza di n. 40 appartamenti, si differenzia nettamente dalle costruzioni realizzate dai privati nello stesso periodo. Si può dire che, a distanza di oltre 20 anni, le carat-teristiche estetiche e di funzionalità che a suo tempo l'hanno differenziata dai modelli prevalenti, sono ancora valide e ne fanno un prodotto ancora competitivo rispetto alle costruzioni di oggi.
Ma non è solo un problema di edificio, bensì di "spazio abitabile" nel suo insieme. La casa TOR 1 ospita un circolo ricreativo e culturale, una palestra, due atelier per pittori ha un giardino fatto a misura d'uomo e di bambini più in generale. Sia lo stabile, che la sistemazione interna, sono costruiti secondo criteri di massimo utilizzo dello spazio disponibile, salvaguardando, appunto, criteri di "vivibilità" indispensabili, quali quello di avere intorno uno spazio aperto per attività ricreative, di relax, e all'interno, grazie ad alcuni accorgimenti tecnici che permettono di accorpare due edifici attorno ad un'unica scala, di avere appartamenti che, nel rispetto di una metratura non abbondante imposta dalle leggi, offrono il massimo di godibilità.
Dice, al riguardo l'Ing. D'Angiolini. progettista e direttore dei lavori sia di questo stabile che

della successiva TDR 2: "...Una tipologia dove al massimo risparmio si associassero innovazioni tecniche che permettessero di mantenere appunto questi costi contenuti. Inventai una tipologia alta, di massimo sfruttamento immobiliare ma tuttavia molto aperta. Un particolare tipo di camino antifumo, mi dette la possibilità di disegnare quattro appartamenti per piano su una pianta molto compatta".
Si può dire che la TOR 1 sia stata pensata e realizzata a misura di abitante della Torretta. Basti pensare, ad esempio, ai lunghi balconi

che permettono di comunicare tra appartamenti di piani diversi e che richiamano, nell’immagine, le balconate della cascina Torretta, croce e delizia dei suoi abitanti che godevano, e soffrivano nel contempo, di una convivenza troppo stretta. Alla TOR 1 la privacy di ogni nucleo familiare è però garantita, ma l'eventuale bisogno di "passare parola" può sempre essere realizzato.
E ancora, la grande vetrata del soggiorno, elemento di novità, per quegli anni, inizialmente vista con diffidenza anche dai soci che ne coglievano soprattutto i possibili aspetti negativi, quali i vetri da pulire o l'entrata del freddo. Dice l'Ing. D'Angiolini, rispetto al rapporto con i soci: "...si discuteva, allora era possibile discutere sul serio a livello di massa, oggi non si fa più, non è più consentito ai tecnici di farlo". Molti di questi elementi architettonici, funzionali oltre che decorativi, strappati a viva forza al consenso dei soci, si ritrovano ancora nelle successive costruzioni della cooperativa, la TOR 2, TOR 2 BIS, TOR 3, TOR 3 BIS quasi un marchio DOC nella produzione delle case della Nuova Torretta: ci riferiamo al giardino, alle vetrate, agli spazi interni all'appartamento, che non sono mai squadrati, a scatola, bensì articolati e mossi. Ma la TOR 1 è anche la testimonianza del tipo di socio di allora: niente garage per le macchine (pochi soci disponevano allora di una automobile), ma un spazioso deposito biciclette e moto, nonché una piccola officina per i lavori di manutenzione ordinaria.
Certamente era difficile, allora, prevedere in soli vent'anni uno sviluppo dell'automobile così forte: l'idea di un garage sotterraneo al giardino era stata, allora, scartata, perché ritenuta quasi un lusso rispetto alle possibilità economiche di allora. Oggi la carenza di un garage si fa sentire: in termini economici, per l'usura delle macchine, ma anche in termini di comodità e di comfort.
Quello del lavoro sociale, dell'autogestione della manutenzione è stato un elemento di novità molto importante, anche se oggi "sta cadendo un po' in disuso". Rientrava in un concetto di « gestione sociale" della casa, si contrapponeva, per molti aspetti, al concetto di proprietà privata, da un lato, e di "cosa pubblica, perciò d'altri" dall'altro lato. Qui si trattava di gestire, e quindi di tutelare anche con interventi tempestivi ed economici, qualcosa che è di tutti, e per la quale tutti sono responsabilizzati a controllarne l'efficienza, la funzionalità, la conservazione.
Su questi due grossi temi, le tipologie edilizie delle case di tipo popolare ed economico, e sul coinvolgimento della gente sulle scelte fatte alla Torretta, ha certamente pesato e influito il dibattito che in quegli anni era molto vivace e a cui l'Ing. D'Angiolini, insieme ai suoi collaboratori, insieme al Collettivo degli Architetti, alle punte più avanzate della ricerca universitaria, ha dato certamente un grosso contributo.
E' del 1964 un convegno, promosso dalla Società Umanitaria di Milano, sul tema "La legge urbanistica e le cooperative di abitazione". Due delle commissioni, la 4a e la 5a, si occupano, nello specifico, degli "standard urbanistici" e della "tipologia dell'alloggio popolare". Nella relazione introduttiva, di Vincenzo Montalto, urbanista e architetto, tra l'altro si legge: "L'auspicata libertà di scelte dovrebbe, nel campo della residenza, rivolgersi in due direzioni. In primo luogo all'esterno dell'alloggio e del nucleo familiare, in conseguenza dell'organizzazione della vita e dello sviluppo delle attrezzature sociali. Anche in questo caso la partecipazione diretta dell'utente alla fase decisionale eviterebbe che queste attrezzature nascessero morte, come in molti casi avviene.
In secondo luogo all'interno dell'alloggio.
Qui è essenziale che la famiglia abbia la possibilità di inserirsi con un proprio processo creativo. (...) Pertanto gli spazi che oggivengono forniti all'utente già belli e precostituiti, secondo decisioni tipologiche di cui raramente si verifica la validità, non dovrebbero avere la determinazione rigida che oggi vien loro data ma consentire l'inserimento personale dell'utente e l'adattamento ai bisogni mutevoli della famiglia. (...)
Il progetto dovrebbe tuttavia fornire delle suggestioni non determinanti, rendendo gli spazi interni interessanti e dinamici, scartando gli ambienti a scatola che, forse economici dal punto di vista del costo, non offrono possibilità alternative a una sistemazione stereotipata e ad un tipo di arredamento non più rispondente neanche a pratiche esigenze primordiali. "Tutto ciò si riassume nella più larga possibilità di scelte personalizzate e anticonformiste, nella partecipazione creativa, nell'autogoverno, nella gestione a mezzo di organizzazione democratiche volontarie".
Queste parole, importanti e fondamentali, le ritroviamo ancora in documenti più recenti, ancora non realizzate, ancora tutte da riempire di interventi operativi. Si dice, al riguardo: "L'utenza non ha, né potrebbe avere, una cultura delle qualità. Sul piano tecnologico i riferimenti che le sono propri derivano direttamente dai processi di commercializzazione di alcuni 'oggetti' edilizi che riguardano, mediamente, il settore delle 'finiture' ".
Sul piano spaziale, o meglio, "distributivo" i riferimenti sono per lo più estranei ai requisiti di "economicità" e "funzionalità" intervengono allora valutazione connesse a modelli culturali indotti a supposte corrispondenze tra tipo edilizio e prestigio sociale. Comunque il BISOGNO DELLA CASA spesso schiaccia lo spessore del gradimento, il reddito familiare lo disarticola in scale differenziate a seconda del tipo di edilizia (pubblica, privata agevolata). (...) Resta un dato certo: la cultura della qualità, di una qualità intesa come requisiti intrinseci al manufatto edilizio è tutta da costruire e in quanto cultura abbisogna di tempi lunghi. Queste osservazioni sono ritrovabili, ad esempio, anche in recenti interviste fatte agli abitanti delle case della cooperativa Nuova Torretta. Ad esempio, rispetto ai vantaggi, dati dallo spazio verde per i bambini, molti soci affermano che ora che ne usufruiscono se ne rendono conto. Prima, il bisogno della casa era così alto che l'avere assegnato l'appartamento era l'obbiettivo fondamentale. Tutto quello che, insieme all'alloggio viene offerto al socio non era contemplato nelle sue aspettative. Bisogni nuovi, che oggi i soci non potrebbero più negare, conforts ai quali non sono più disposti a rinunciare. Una consapevolezza che nasce da una esperienza positiva.
Tutte le case costruite dalla Nuova Torretta sono state fonte di problemi, di preoccupazioni, di "paura di non farcela". Per il Consiglio di Amministrazione certamente la TOR 1 è stata la più sofferta, perché la prima, perché realizzata senza un retroterra economico e di esperienze, ma certamente anche la più "vissuta", quella su cui si sono accentrati maggiormente gli sforzi dei cooperatori, le aspettative di tutti. Si dice, sempre nella già citata relazione ai soci del '63: "Siamo osservati da tutti, il nostro esempio può essere di stimolo ad iniziative analoghe e quindi volte a potenziare la nostra forza cooperativistica". Il momento della TOR 1 è stato anche quello di massima creatività, quello in cui, pressati dal bisogno, si sono ricercate e trovate soluzioni sul piano tecnico, economico e imprenditoriale impensabili e particolarmente avanzate.
Già dalla ricerca del terreno ci si è posti, nei confronti del Comune, in una situazione di "chiedere" ma consapevoli di avere dei diritti, nel contempo sollecitando l'Ente Pubblico ad assolvere ai suoi compiti, in un rapporto corretto, di reciproca e massima collaborazione. La TOR 1 è stata l'unica casa della cooperativa Torretta iniziata con il solo capitale costituito dal deposito dei soci prenotatari. Questo perché allora la cooperativa Torretta non disponeva né di capitali propri, da offrire in garanzia, come fa oggi con le nuove costruzioni, né di un risparmio sociale sufficiente ad evitare la stretta degli interessi bancari.
Dice al riguardo Federico Sala, primo presidente della cooperativa, che le famiglie che componevano il primo nucleo di soci ha dato l'avvio al capitale della coo-perativa versando 10.000 lire, mentre la raccolta di risparmi era modesta. Sempre a detta del Sala, però, tutti hanno dato fiducia alla cooperativa.
Questo discorso della fiducia ritorna spesso nella storia della Nuova Torretta. "Mi sono iscritto alla Torretta perché mi fidavo" dicono i soci intervistati, oppure "non mi interessa la casa in proprietà, perché tanto alla Torretta sono sicuro, ho fiducia nella solidità della cooperativa".
Non è stato così sempre, e non per tutti. Il rapporto di fiducia è legato alla storia di ciascuno dei soci nel suo rapporto con la cooperativa. Si può comunque dire con certezza che anche nei momenti di difficoltà economica, non si sono mai verificati, o solo qualche episodio isolato, fenomeni di ritiro del risparmio sociale cosa che, se in forma massiccia, avrebbe certamente compromesso la vita stessa della cooperativa.
Dice ancora il Sala: "Quando ritorno con il pensiero a quei tempi (l'avvio della cooperativa e la prima costruzione) mi meraviglio soddisfatto, pensando a quanta strada ha fatto, quanta importanza ha nella storia di Sesto. Pensare che un gruppo di semianalfabeti, animati da una grande buona volontà ma completamente ignoranti in fatti di edilizia, un campo molto difficile e pieno di intrighi, sia riuscito a realizzare quello che quasi non sembrava possibile, mi dà molta gioia. Mi piace però sottolineare che, quando svolgevo il ruolo di presidente, nelle notti insonni per le molte preoccupazioni, sentivo però che il mio compito era condiviso e confortato dal valido aiuto dei miei collaboratori, del Consiglio, di D'Angiolini, che allora era il nostro consulente tecnico e un po' da tutti gli amministratori di allora.
Ricordando adesso, con calma, la forza e la volontà di riuscire mi derivavano, certamente dalla grande fiducia che la gente della Torretta ha dato ai suoi dirigenti, anche sacrificandosi economicamente".